Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 30 ottobre – 15 dicembre 2017, n. 30290
Presidente Amendola – Relatore Vincenti
Fatto e diritto
Ritenuto che, con ricorso affidato ad un unico, articolato, motivo, M.M. ha impugnato la sentenza del Tribunale di Milano, in data 26 marzo 2016, che ne rigettava l’appello avverso la decisione del Giudice di pace della medesima Città che, a sua volta, aveva respinto la domanda proposta dallo stesso M. contro la Telecom Italia S.p.A., al fine di vedersi restituire la somma di Euro 3.831,92, indebitamente corrisposta a fronte di servizi di telefonia non goduti a causa dei difetti di funzionamento dei dispositivi cellulari fornitigli dalla stessa Telecom in base allo stipulato contratto;
che il Tribunale osservava che il M. non aveva contestato il “dettaglio telefonico” delle fatture, prodotto dalla Telecom, in base al quale si evincevano i dati relativi al traffico delle chiamate ed al traffico “dati”, né aveva messo in discussione “il corretto funzionamento del contatore centrale” e “di aver richiesto i servizi addebitati”, né, infine, che vi fosse stato “un uso illecito del terminale da parte di terzi”, limitandosi “a sostenere che il terminale in uso fosse mal funzionante”, per cui “non avrebbe potuto generare il traffico addebitatogli”, là dove, però, “al di fuori dell’asserito mal funzionamento del telefono”, non aveva poi “offerto alcuna prova circa la custodia operata del terminale e la non utilizzazione dello stesso da parte di altri soggetti”, né su altri elementi atti a “contrastare le risultanze del contatore”;
che resiste con controricorso la Telecom Italia S.p.A.;
che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., è stata comunicata ai difensori delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, in prossimità della quale il ricorrente ha depositato memoria;
che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.
Considerato che, con l’unico, articolato, mezzo, è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 183, comma 7, cod. proc. civ., 1218, 2697 e 2712 cod. civ., per aver il Tribunale erroneamente escluso che i tabulati telefonici fossero stati contestati, così indebitamente attribuendo ad essi valore probatorio e sovvertendo, quindi, il relativo onere in punto di dimostrazione del traffico telefonico e “dati” effettivo, spettante alla Telecom, altresì impedendo illegittimamente ad esso utente di fornire la prova del mal funzionamento del telefono cellulare;
che il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis, n. 1, cod. proc. civ. (per la statuizione di inammissibilità, cfr. Cass., S.U, n. 7155/2017), essendosi il giudice di appello conformato ai principi della materia, del resto evocati dallo stesso ricorrente;
che questa Corte ha, infatti, enunciato il principio per cui “deve presumersi il buon funzionamento del sistema di rilevazione del traffico telefonico per telefonia fissa mediante i contatori centrali delle società telefoniche, le cui risultanze fanno piena prova del traffico addebitato, in difetto di contestazione da parte dell’utente. Se il buon funzionamento è contestato, costituisce onere della società esercente il servizio di telefonia offrire la prova dell’affidabilità dei valori registrati da contatori funzionanti. In ogni caso, l’utente è ammesso a provare che non gli sono addebitabili gli scatti risultanti dalla corretta lettura del contatore funzionante, ma dovrà allegare circostanze che univocamente autorizzino a presumere che sia avvenuta una utilizzazione esterna della linea nel periodo al quale gli addebiti si riferiscono. Non è sufficiente a tale scopo dimostrare che il traffico telefonico appaia di entità straordinaria rispetto ai livelli normali, né che sia diretto verso destinazioni inusuali, ma è necessario anche che possa escludersi che soggetti diversi dal titolare dell’utenza ma in grado di accedere ad essa ne abbiano fatto uso per ragioni ricollegabili ad un difetto di vigilanza da parte dell’intestatario, ovvero alla mancata adozione di possibili cautele da parte del medesimo” (così Cass. n. 1236/2003; analogamente Cass. n. 17041/2002, Cass. n. 10313/2004, Cass. n. 23699/2016);
che, nella specie, il Tribunale si è attenuto a tale principio di diritto, rilevando, per un verso, che non vi era stata contestazione diretta dei dati relativi al traffico telefonico (“giorno, ora, tempi, destinazione delle telefonate”) e “dati” (“data, ora, durata”), né del funzionamento del contatore centrale, né dell’illecito uso del terminale da parte di terzi, avendo l’attore allegato, e richiesto al riguardo prova, unicamente (sul)la circostanza del non funzionamento del telefono cellulare (ciò che, del resto, è evidenziato dallo stesso ricorso per cassazione, assumendosi che tale allegazione postulava, implicitamente, anche la contestazione del funzionamento del contatore centrale), ossia su un fatto negativo, rispetto al quale neppure era stata avanzata idonea richiesta di prova (come risulta dallo stesso capitolato trascritto in ricorso) in ordine a circostanza positive, di carattere anche presuntivo, volte a dimostrare quanto asserito. Ciò in armonia con il principio secondo il quale “l’onere della prova gravante su chi agisce o resiste in giudizio non subisce deroghe nemmeno quando abbia ad oggetto fatti negativi; tuttavia, non essendo possibile la materiale dimostrazione di un fatto non avvenuto, la relativa prova può essere data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario od anche mediante presunzioni dalle quali possa desumersi il fatto negativo” (Cass. n. 14854/2013);
che, per il resto, le doglianze si risolvono in una critica, non consentita, della valutazione fattuale e probatoria rimessa esclusivamente al giudice del merito;
che la memoria depositata dal M. , in buona parte confermativa delle argomentazioni già spese con il ricorso, non scalfisce le considerazioni che precedono, là dove poi alla stessa non è consentito di integrare o di emendare le ragioni di censura già sviluppate con l’atto di impugnazione;
che il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo in conformità ai parametri di cui al d.m. n. 55 del 2014.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore della parte controricorrente, in Euro 1.400,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.